Perché l’ultimo spot del Tavernello di Caviro è un autogol pazzesco (dei testimonial)

EDITORIALE – Tre sommelier esperti fanno degustare alla cieca quattro vini a degli aspiranti sommelier. Unico indizio fornito: tre sono vini costosi, uno è Tavernello. In realtà si scopre che sono tutti Tavernello. Basterebbe la trama dello spot per capire quanto i tre sommelier ingaggiati da Caviro siano stati oggetto di un autogol pazzesco, giustificabile (forse) solo dal compenso offerto per girare il video, in qualità di testimonial.

Già, perché l’ultima trovata di Caviro giova solo a chi l’ha promossa: ovvero a Caviro stessa. Dopo aver usato (per alcuni ab-usato) sapientemente lo storytelling per raccontare Tavernello come il frutto del sudore dei propri conferitori (spot dell’aprile 2018, a sua volta oggetto di critiche feroci da parte dei leoni del web) il colosso di Forlì, abilissimo nel marketing, ha pensato bene di armare i sommelier. Contro i sommelier.

La mia impressione, infatti, è che il target del video non siano i consumatori – ai quali Caviro intenderebbe raccontare il Tavernello come vino buono, a dispetto del pensare comune – bensì gli stessi sommelier.

La cooperativa non lo ammetterà mai, ma sarebbe meglio parlare di un vero e proprio “bersaglio“. Una rivisitazione in salsa Tetra Pak dell’Eneide di Virgilio, da leggere in quel passaggio in cui Laocoonte avverte i Troiani: “Timeo Danaos et dona ferentes”, “Temo i Dànai anche quando portano doni”.

Grazie ai tre professionisti che hanno girato lo spot, Caviro arma il proprio cannone contro le associazioni professionali, “colpevoli” di formare nuove schiere di enofighetti che bevono etichette, più che vini. Lo fa con classe, in punta di piedi.

Mettendosi addirittura in una posizione subalterna rispetto a quella delle tre pedine, scelte come vittime sacrificali, da esporre al prevedibile fuoco incrociato di critiche e ritorsioni.

Caviro, nell’ultimo spot, si traveste dietro le quinte da vecchio saggio che gioca a scacchi davanti al camino, con la coperta di lana sulle ginocchia. Mentre fuori piove a dirotto, sulla crapa di tre sventurati.

Manda loro a dire alla sommellerie che “così non va bene, suvvia”. Tanto è vero che i tre giudici fanno la ramanzina a quelli che vengono dipinti come il prototipo dei futuri sommelier: gente che, in fondo – pare suggerire lo spot – non capisce più di tanto di vino e si fa condizionare dal prezzo e dal marketing.

A guardar bene, il video, così come è costruito, non ha altro senso logico. Ci avete pensato? In una vera degustazione alla cieca non si conosce nessuno dei vini “coperti”, tanto meno il prezzo. Il solo suggerimento che uno dei vini in degustazione possa essere Tavernello rende vano lo scopo più alto del tasting alla cieca.

Per di più, anticipare che tre dei quattro vini siano costosi, non fa altro che disorientare ulteriormente gli sfortunati degustatori. Peraltro: aspiranti sommelier di quali associazioni? Non si sa. E il punto è proprio questo.

Con la scusa di una “blind”, Caviro arma genericamente tre sommelier contro le associazioni della sommellerie italiana. Senza neppure citarle. Facendo incazzare non poco – peraltro – uno come Daniele Cernilli (affezionato uomo Ais) che ha allontanato dal panel della sua guida uno dei tre testimonial, con cui collaborava in Toscana.

Il messaggio lanciato dall’azienda del Tavernello è chiaro e più che mai condivisibile. Di discutibile, forse, c’è solo la scelta dei tre sommelier, che si sono prestati a un attacco generalizzato e banale alla sommellerie, più che al mondo dei consumatori di vino distratti dalle variabili del formato, del prezzo e del segmento di vendita.

Ma del resto si sa: a questo mondo (at)tira più un contratto da testimonial che un carro di buo…ne intenzioni super partes. E allora cin, cin. Col brik, da stappare a la (B)olé. Altro che Champagne.

® Riproduzione riservata

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